LA NEUROARCHITETTURA
Gli studi neuroscientifici cercano di rispondere a queste domande:
· in che modo il nostro cervello risponde agli stimoli provenienti dall’ambiente costruito?
· quanto e in che modo una buona progettazione contribuisce al benessere psicofisico dell’individuo?
· può un architetto progettare spazi che diano benessere, che aumentino la capacità di concentrazione, che aiutino la guarigione o che siano formativi?
Dalle sperimentazioni condotte è emerso che il cervello risponde agli stimoli esterni attivando apposite cellule per ognuno di essi, inoltre per ogni stimolo proveniente dell’ ambiente esterno crea un mix di impulsi che provengono dai ricordi, dai sensi percettivi e dalla memoria a breve termine.
Esiste quindi un legame inscindibile tra essere umano e ambiente che lo circonda e lo stesso influisce considerevolmente sull’umore e sullo stato d’animo delle persone.
LA SCOPERTA DEI NEURONI SPECCHIO
Nel 1991 in un laboratorio dell’Università di Parma, un gruppo di scienziati capeggiati da Giacomo Rizzolatti, scoprirono gruppi di neuroni nel cervello degli essere umani, che si attivano non solo quando un soggetto manipola un oggetto, ma anche quando solamente lo vede fare.
A questi neuroni fu dato il nome di “neuroni specchio”. Questi sistemi ci permettono di simulare o ripetere mentalmente l’attività degli altri e di comprendere le intenzioni e le emozioni dietro a queste azioni, inoltre si è scoperto che nel guardare una persona compiere un’azione si attivano anche aree del cervello addette alla funzioni motorie. In pratica il cervello attiva tutte le funzioni preposte allo svolgimento dell’azione pur solo essendo spettatore dell’azione stessa, spesso in maniera inconscia ed inconsapevole. I neuroni specchio sembrano dunque definire fenomenologicamente il nostro rapporto empatico con il mondo.
Lo studio dei neuroni specchio apre una nuova strada verso la “teoria dell’empatia”, mostrando importanti implicazioni antropologiche, poiché essi forniscono una traccia di come impariamo ed entriamo in relazione con gli altri.
Tania Singer, direttore del Dipartimento di Neuroscienze Sociali presso l’Istituto Max Planck per le Scienze Cognitive e la Cervice Umane, in Germania, in un suo esperimento ha dimostrato che durante la visione o al solo pensiero di qualcuno che prova dolore, il nostro cervello attiva circuiti neuronali simili, come se fossimo noi a provare il dolore, eccetto chiaramente, che nelle aree sensoriali coinvolte nella sensazione “effettiva” del dolore.
Queste scoperte investono anche il mondo delle arti e dell’architettura.
Harry Francis Mallgrave, nella sua magistrale opera del 2013, “L’empatia degli spazi”, nel relazionare circa gli studi scientifici sulla simulazione incarnata e la sua connessione con l’arte e l’architettura, sostiene che l’attività neurologica viene percepita dal cervello attingendo informazioni dall’esterno con tutti i suoi sensi.
In altre parole se i neuroni specchio si attivano in risposta alle azioni delle altre persone, questi sono attivati anche dal movimento, dalla forma, dalla disposizione degli oggetti inanimati, il che include anche le caratteristiche e gli elementi dell'ambiente costruito.
Il corpo assume il ruolo di lente d’ingrandimento attraverso la quale siamo in grado di scrutare la condizione emozionale dello spazio e superare quelli che Mallgrave definisce i vecchi modelli.
Le neuroscienze hanno evidenziato che i nostri processi cognitivi ed emotivi dipendono dall’interazione tra mente e corpo.
Il modo in cui ragioniamo, costruiamo concetti, prendiamo decisioni, risolviamo problemi, attribuiamo significati a noi stessi e al mondo che ci circonda, regoliamo le nostre emozioni, ecc…, dipende anche dal modo in cui percepiamo gli stimoli, dalle azioni che compiamo e dalle interazioni che il nostro corpo intrattiene con l’ambiente.
In questo senso embodiment significa considerare i nostri processi di pensiero e i nostri meccanismi emotivi come “incarnati”, cioè strettamente collegati alle sensazioni e alle reazioni motorie che avvengono a livello fisico in un determinato ambiente.
Alla luce di queste considerazioni gli edifici devono essere considerati degli elementi palpabili, cui i nostri corpi e i nostri sitemi neurologici sono inestricabilmente connessi. L'architettura non è un'astrazione concettuale bensì una pratica incarnata attraverso la quale lo spazio viene percepito attraverso reazioni emotive, semantiche e viscerali sia dal progettista che dal cliente fruitore.
In questo processo l'emozione è il mezzo clinico e neurologico reale con cui entriamo in contatto e percepiamo il mondo; ecco perché è importante riportare l’ attenzione su alcuni concetti tradizionali della progettazione: materialità, scala, texture, spazio, artigianalità, colori, simboli.
Il concetto di empatia è stato coniato, a fine ‘800, dall’esperto di arti figurative Robert Vischer e deriva dal termine empátheia, ovvero “sentire dentro”.
Gli studi di Vischer prendevano avvio da una premessa ovvero quando percepiamo gli stimoli dello spazio che ci circonda, simuliamo a livello neurologico l'ambiente che ci circonda. Il processo percettivo avviene in diverse fasi, comincia con l'arrivo delle sensazioni immediate e proseque con le risposte motorie generate dagli stimoli ricevuti. Una volta che le emozioni entrano in gioco le sensazioni si intensificano e si traducono in sentimenti fino a raggiungere il sentimento dell'empatia in cui il nostro sé è completamente coinvolto.
L'arte in questo modo è in grado di indebolire o rafforzare la nostra sensazione.
In altre parole secondo Vischer animiamo di vita lo spazio che ci circonda poiché possediamo un corpo e ne facciamo esperienza. Le forme non sono mai neutre, ma sempre animate e le leggiamo attraverso la nostra organizzazione corporea. A tal proposito valutiamo le cose come belle poiché vi rispecchiamo la nostra organizzazione corporea.
Ad esempio una colonna non si limita semplicemente a sostenere il peso del carico, ma suggerisce una forza che va verso l'alto come affermazione della vita. Gli stretti edifici medievali delle città dell'Europa settentrionale ci sembrano oppressive in quanto vivendo queste forme ci sembra d'essere schiacciati da esse.
Theodor Lipps divenne il principale teorico della teoria dell'empatia sul finire del XIX secolo. Egli considerava l'empatia estetica come un atto di autogodimento: proiettiamo noi stessi nell'oggetto di contemplazione, si tratta di una proiezione talmente completa da andare oltre ciò che sentiamo con i sensi e con il corpo.
La scrittrice inglese Vernon Lee aveva intrapreso una serie di esperimenti in cui registrava le risposte fisiologiche di coloro che osservavano alcune opere d'arte ed edifici. Ella osservò che la percezione della forma, in particolare nei casi visivi e uditivi, implica una partecipazione dei più importanti organi vitali, il che significa che le opere d'arte rafforzano il sistema vitale e biologico quando sono ritenute belle e lo indeboliscono quando sono ritenute brutte.
DALLA TEORIA ALLA PRATICA
Affrontato l’approccio teorico non si può prescindere dalle applicazioni pratiche sul tema, con esempi reali e tangibili su come l’applicazione sapiente della neuroarchitettura può giovare concretamente nella progettazione dei manufatti. Gli architetti e progettisti in genere, nel tramutare le teorie scientifiche in realizzazioni concrete, hanno una grossa responsabilità. La sperimentazione sul campo avviene applicando le diverse teorie scientifiche in materia a tutte le fasi della progettazione architettonica, dal concept alla realizzazione, controllando costantemente tutte le fasi del processo e valutando di volta in volta gli effetti generati nel medio-lungo periodo. In questo delicato scenario la crescita può essere ottenuta soltanto mediante la stretta cooperazione tra il mondo della ricerca e quello dei progettisti.
Una delle applicazioni pratiche è avvenuta nel 2014 con la riproduzione in scala ridotta di un bosco inserito nella sala d’attesa dell’Ospedale pediatrico oncologico Pausilipon di Napoli. Il progetto nasce dalla necessità di portare sollievo morale ai giovani pazienti della struttura ospedaliera. Il team di lavoro, vincitore di una competizione di architettura, pensa di portare il “bosco” nell’ospedale, con l’intenzione di donare ai piccoli pazienti, impossibilitati per lunghi periodi a lasciare la struttura ospedaliera, un contatto con l’ambiente l’esterno, facendogli vivere, seppure in maniera artificiale, tutte le sensazioni e le percezioni multisensoriali legate all’esperienza di una passeggiata al parco. Nelle intenzioni progettuali, la permanenza nella sala, deve tramutarsi in un’esperienza multisensoriale che coinvolge completamente tutti i sensi del fruitore.
Numerosi studi sull’applicazione della neuroarchitettura alle strutture sanitarie hanno dato risultati sorprendenti: abbreviazione del tempo di degenza dei pazienti, diminuzione della quantità di farmaci antidolorifici, migliore rapporto tra i pazienti e il personale sanitario.
In conculsione la progettazione degli ambienti costruiti deve spostare l’attenzione dall'oggettivazione dell'architettura per rivolgerla verso chi farà esperienza diretta dello spazio, allontanandosi il più possibile dal concetto di standardizzazione.